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Un lungo addio: accompagnarsi nel fine vita (e anche dopo, un po’) Riduci

Come garantire una buona assistenza agli anziani?
Come evitare che si sentano solamente l’oggetto di pratiche assistenziali?
Allo stesso tempo, come favorire il benessere degli operatori?

Una risposta è costruire un rapporto di fiducia, rispettare la persona e la famiglia, accettarne i valori, costruire una comunicazione autentica. Questo può permettere alla persona anziana di continuare a essere il centro della sua vita e mantenersi così in uno stato di relativo benessere, riducendo i disturbi comportamentali e rasserenando il clima. Cosi si allevia la fatica dell’operatore e si instaura un rapporto positivo e costruttivo con i familiari.

Si è tenuto a Trento il 23 e 24 Settembre 2016 il Convegno Nazionale sull’ASSISTENZA DEGLI ANZIANI, sui metodi e strumenti relazionali di cui possono fare buon uso chiunque si occupi di
assistenza a persone anziane non autosufficienti : coordinatori dei servizi, assistenti sociali, educatori professionali, psicologi, operatori dell’assistenza (OSS e ASA), medici, infermieri,psicomotricisti, volontari, familiari.
Tra i relatori il dr. Luigi Colusso dell’ADVAR di Treviso ha approfondito la parte di sua competenza:
“Muore bene chi ha vissuto bene”
Una grande verità(con qualche eccezione…), per poterla onorare i temi fondamentali sono:
*La gestione del tempo finale, spesso lungo, deve essere coerente con la gestione dei tempi precedenti
*La famiglia ha il diritto/dovere di vivere le proprie funzioni specifiche, per sé e nella relazione con l’anziano
*La preparazione al distacco/elaborazione del lutto per la morte dell’anziano- seguito professionalmente- è questione importante per gli operatori e per i servizi: è un compito essenziale, adempierlo evita il burn out e offre valore
*Modi e riti prima durante e dopo il morire sono essenziali per una elaborazione soddisfacente, per operatori, familiari, per altri anziani in relazione, come accade in casa di riposo

In concreto si parla dei preparativi per la partenza, per i quali occorre organizzarsi per tempo, e certo migliore sarà la riuscita se, nell’incertezza della meta, almeno i preparativi e l’accompagnamento sono gradevoli
Sono preparativi che richiedono gesti corali e coerenti, e finalità condivise anche se non necessariamente esplicite
Il primo passo è per tutti riconoscersi nell’esperienza del cordoglio anticipatorio, come una entità costitutiva normale del vivere
E’ una esperienza propria non solo nell’anziano nell’ultimo tratto di vita: è una risorsa per interpretare gli eventi della vita e fronteggiare adeguatamente i problemi, di vita e anche di salute a mano a mano che si prefigurano

Il cordoglio anticipatorio può essere definito la sperimentazione interiore, consapevole o anche inconsapevole, di pensieri, sentimenti ed emozioni, che nascono dalla attualizzazione nel presente di un evento che non si è ancora verificato, ma che si ritiene (spesso a ragione, ma a volte a torto) certo o molto probabile, e più o meno imminente e …negativo
Si esprime concretamente anche nella relazione con altri (molto spesso in forma non verbale), e in azioni/gesti, non sempre consapevolmente, e che non sempre sono espressione di un corretto fronteggiamento
Sperimentare un cordoglio anticipatorio fa prevedere il distacco definitivo da legami, oggetti, persone, relazioni… con le quali si è costituito un attaccamento, che costituisce un valore, e che ha una “risonanza affettiva” per la persona: per questo motivo immaginare il distacco significa immaginare una perdita, una separazione, e l’evento si prefigura come negativo
La risonanza affettiva si manifesta, in forme e sensi differenti anche nella persona dell’operatore
Attaccamento – perdita – separazione sono eventi ciclici, che sperimentano tutti, familiari operatori e volontari
Quando si elabora il cordoglio anticipatorio con idonei strumenti, le esperienze non vanno solo a sommarsi ma per esempio con la narrazione, come narratori che si mettono alla prova in una area di relazioni densa di significati e di affetti strettamente connessi tra loro, si sperimenta che perdite e separazioni avvenute e venienti se narrate aprono le porte a nuovi attaccamenti, a nuovi legami perché si riesce a “ lasciar andare “
Tutti ci confrontiamo con le proprie perdite, lutti e cordogli anticipatori, allora ognuno potrebbe accettare di riconoscersi nella condizione di guaritore ferito, condizione che esprime parità con colleghi, anziani, famiglie…
Una apertura allo scambio di doni di umanità, efficacia relazionale, nutrimento con l’apertura di opportune feritoie . Energia, efficacia e forse adeguatezza e serenità fanno parte del corredo da viaggio del guaritore ferito
Se la morte dell’anziano si verifica dopo che si è formato un legame anche modesto tra lui/lei, la famiglia, gli operatori … è giusto “ sentire il lutto” ed elaborarlo: altrimenti piccoli lutti ripetuti diventano un grande peso
Condividere con la famiglia questa esperienza tramite biglietti di condoglianze, accoglienza dei dolenti, partecipazione alla cerimonia funebre, lo scambio di un ricordo materiale, come una foto pacifica, risolve tensioni e insegna con la pratica agli uni e agli altri come e con quali strumenti si elaborano esperienze che fanno parte del vivere: essere pronti a” lasciare andare”.

 

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Costruire reti e relazioni Riduci

(Alessandra Cecchin, parziale dell’intervista rilasciatale dal dr. L.Colusso per “La Vita del Popolo” del 15 Marzo 2015)

 

Quando avrà finito di scrivere, si fermi un momento e rilegga l’articolo, mettendosi nei panni di un genitore, di un fratello, di un famigliare di chi si è tolto la vita. E’ l’unico modo per non far loro ancora del male, anche solo con le parole”. La raccomandazione, fatta sottovoce e quasi scusandosi, del dott. Luigi Colusso, al termine del nostro incontro, dice molto del suo lavoro, e della sua stessa vita, accanto alle persone colpite da un lutto con il progetto “Rimanere insieme” che è nato 16 anni fa all’interno dell’Advar di Treviso come servizio gratuito rivolto ai “superstiti”.

La cronaca delle ultime settimane racconta di una lunga serie di casi di morti per suicidio nel trevigiano, in particolare di giovani. Scelte, se così si possono definire, che quasi sempre sembrano arrivare all’improvviso, senza che ci siano stati “segnali” di preallarme, senza che le persone vicine potessero fare qualcosa per scongiurare qualcosa di così definitivo, senza che fosse possibile “intercettare” un disagio tanto profondo, più o meno nascosto. Fatti di fronte ai quali ci si dovrebbe fermare come davanti a un mistero, insondabile, che tocca l’intimità di ciascuno. E invece, spesso, le parole si sprecano, anche sui mass media.

Accoglienza senza giudizio

Da qualche tempo il gruppo di “Rimanere insieme”, tra i“superstiti”, accoglie anche diversi famigliari di persone che si sono uccise,soprattutto genitori e partner (mogli, mariti, fidanzati).

Un tempo erano uno ogni tanto, oggi cominciano ad essere parecchi – spiega Colusso - e arrivano con un tir di sofferenza, in cui ci sono anche molti sensi di colpa. Le identità stesse vengono travolte, c’è un crollo dell’autostima. Sono persone che hanno bisogno di ascolto, di essere accolte con misericordia, senza essere giudicate, hanno bisogno di fare una narrazione del proprio vissuto, e il gruppo di mutuo aiuto fra pari, fra persone che condividono la stessa esperienza è fondamentale.

E’ diverso perdere qualcuno per malattia o perché si è tolto la vita”.

Farcela con le proprie forze è dura, in questi casi, molti possono contare sulla fede, su un sostegno spirituale, in alcuni casi c’è la necessità di un aiuto professionale, di un sostegno psicologico per comprendere ciò che è accaduto, elaborare il lutto.

Coinvolti famiglia, amici,comunità

Colusso parla di ripercussioni ad onda di questi fatti in tutta la famiglia, tra gli amici, nella stessa comunità. “La percezione che ho ricavato da tante storie e incontri è che ci siano molte concause che portano le persone al suicidio, non c’è soltanto il lavoro perso, il fallimento dell’azienda, una malattia grave, la rottura di un legame affettivo o gli impegni di studio non onorati come si desidera.

Soprattutto c’è l’impressione, sbagliata certo, di non contare abbastanza per qualcuno, di non avere più un motivo per continuare a vivere, e non c’è la consapevolezza del dolore che si provocherà.

Talvolta la rete sociale intorno a queste persone, anche quella informale, funziona meno, è più «smagliata». Ecco perché ripeto sempre che dobbiamo rimettere al centro le relazioni e ricostruire il senso di comunità”.

Una rete dalle maglie strette

Costruire e coltivare relazioni come membri della comunità umana,quindi, la prima e più remota “ricetta” per prevenire gesti tanto terribili, per costruire quella rete dalle maglie strette che può aiutare anche la famiglia e la scuola, che spesso si sentono impreparate a cogliere i segnali, a interpretare il disagio di tanti adolescenti.

“Dobbiamo impegnarci a ricostruire la bellezza di vivere insieme nel mondo, che è il posto che Dio ci ha dato, perché non ci ha messo qui da soli, ma ci ha donato gli uni agli altri” conclude Colusso.

 

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