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Relazioni Riduci
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Pastorale della consolazione Riduci
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Relatore Riduci

DON ANTONIO GUIDOLIN
nato il 6-2-1954,ordinato sacerdote il 4/2/1989 è stato Vicario Parrocchiale del Duomo di San Donà di Piave dal 1989 al 1992.
Ha svolto la sua attività di Parroco di Visnadello dal 1992 al 2004; poi dal 2004 a tutt’oggi nella Parrocchia di Selvana segue la Comunità sempre come Parroco.
E’ Direttore dell’Ufficio Pastorale della Salute della Diocesi di Treviso e Assistente Diocesano dell’UNITALSI.

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E Gesù scoppiò in pianto\Donna non piangere Riduci

Entrare in Quaresima non vuol dire stare a pane e acqua, avere una faccia da funerale e compiere cose impossibili, ma cogliere l’occasione che Dio ci dona per individuare il posto che Gli spetta nella nostra vita.

Si sono quindi offerti alla Comunità tre incontri di preghiera e riflessione sull’ascolto della Parola di Dio.

“E Gesù scoppiò in pianto” – Con la compassione di Gesù accanto a chi soffre e muore.
(don Antonio Guidolin)
Vangelo secondo Giovanni (11,32-37)
Vangelo secondo Luca (10,25-37)
Nel Vangelo di Giovanni Gesù, maestro di umanità si fa talmente prossimo all’uomo da turbarsi, commuoversi e piangere per la morte dell’amico Lazzaro; ma ci insegna anche a mettere in pratica questa compassione prendendo le sembianze del buon Samaritano nel Vangelo di Luca che usa sei verbi rivelatori:
1-Era in viaggio quando ha incontrato l’uomo: è il viaggio della nostra vita durante il quale incontriamo molta gente che soffre.
2-Gli passò accanto cioè prendiamo coscienza che c’è qualcuno vicino a noi che vive, soffre…
3-Lo vide. Tutti e tre (sacerdote,levita,samaritano) lo vedono ma in modo diverso, secondo il proprio cuore: il samaritano non segue la legge che proibiva di venire a contatto con il sangue, o si chiede a che cosa può andare incontro, se è un nemico etc., vede solo un uomo che soffre; per noi credenti significa vedere in colui che soffre Gesù; coltiviamo uno sguardo attento verso l’altro che dica: “per me tu sei importante”. Per chi soffre “vedere” un sorriso rincuora, il sorriso rivela la bontà di Dio.
4-Ne ebbe compassione: il samaritano si sente rimescolare tutto; il cristiano capisce che la compassione è un dono che Gesù ci fa per stare accanto a chi soffre coinvolgendoci con la nostra presenza e facendoci vicini (ad es. toccando l’altro come fa papa Francesco).
5-Gli fasciò le ferite:un gesto concreto e immediato, il pronto soccorso della carità. Il nostro olio e vino è il sorriso, la parola al momento giusto; se il poco che abbiamo lo mettiamo a disposizione ci pensa Dio poi ad ingigantirlo. Per un credente l’olio ed il vino richiamano il sacramento dell’Unzione degli Infermi ed il sacramento dell’Eucarestia.
6-Caricatolo, lo portò alla locanda: è il viaggio della speranza; il samaritano ha fatto il primo soccorso ma poi l’ha portato e affidato alla locanda, cioè alla Comunità Cristiana, alla Parrocchia, dove i ministri dell’Eucarestia sono testimoni della cura pastorale di chi soffre.
Dunque, fare come Gesù i buoni Samaritani è facile? Purtroppo no! Sorgono molte domande alle quali si cercherà di dare risposta nel 2° incontro del 20 Marzo p.v.


“Donna non piangere!” – Annunciare la speranza cristiana nella vita oltre la vita.
(don Antonio Guidolin)
Vangelo secondo Luca ( 7,11-17)
Vangelo secondo Giovanni (20,11-18)
La morte non fa parte del progetto di Dio, ma è causata dalla rottura che l’uomo ha scelto di fare con Dio per cui la morte ne è la conseguenza.
La vedova di Nain, senza sostegno economico ed affettivo piange il figlio che porta al cimitero: come per Lazzaro Gesù si muove a compassione e le dice: “non piangere” perché sono venuto a portarti la vita che hai perso.
Ecco la speranza cristiana! Noi come cristiani siamo chiamati a curare le sofferenze, ma siamo capaci di offrire motivi per una speranza dopo la morte?
L’idea che la storia si incammina verso un orizzonte ultimo si sta smarrendo: qual è allora il motivo che fa sperare per noi cristiani che c’è La vita oltre la morte?
E’ Gesù risorto il motivo della nostra speranza: esperienza di uomo concreto vissuto 2000 anni fa, morto, sepolto ma risorto, non ritornato in vita come Lazzaro.
San Paolo invita i suoi cristiani di Corinto a guardare alla Gerusalemme di 25 anni prima (1°Cor.15,3…)e proclama il cuore della fede cristiana: ” Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto:…Cristo è risuscitato…”.
Gesù si è fatto solidale con la nostra condizione umana fino in fondo, ha duellato con la morte e ha vinto; la morte significa dolore, isolamento, è frutto del peccato perché ci siamo allontanati da Dio, ma Gesù vincendola ha messo dentro di noi, per mezzo del Battesimo, la Sua vita risorta per cui siamo immersi (Battesimo in greco significa immersione) in una condizione profondissima con Lui che sconfigge la morte.
E’ per questo che si è fatto battezzare, Lui senza peccato, da Giovanni: per farci capire che entra nella nostra vita, si immerge nelle nostre malattie ed esperienze dolorose e arriva nel fondo del nostro male.
Lì ci aspetta per abbracciarci e spalancarci il Paradiso, non possiamo cadere più in fondo perché in fondo c’è Lui!
Ogni giorno si passa dalla morte alla vita, cadendo e rialzandoci ma sempre con Gesù: l’umana paura della morte c’è, ma davanti c’è la VITA: questa è la Pasqua di ogni giorno che si vive: si cade e ci si rialza.(sacramento della Confessione ed Eucarestia)
Padre M.Kolbe è sceso nell’inferno di Auschwitz e ha dato la vita per un altro uomo: lì ha incontrato Dio che lo attendeva.
Daniela Albrigo, mamma malata di cancro ha toccato con mano la fragilità della sua vita e si è sentita amata da Dio: gli ha donato la sua vita ricevendo in cambio la grazia, l’amore e l’attenzione di Dio che le ha tolto l’angoscia di lasciare i suoi cari.
Molte sono le testimonianze che c’è la vita oltre la morte e questa speranza cristiana certa è frutto dell’incontro con Gesù, non è merito personale.
Tre parole: Paradiso, Inferno, Purgatorio: non si parla di luoghi quindi, ma di stati che già in questa vita possiamo sperimentare. Come parlarne?
PARADISO: essere con il Signore. Deriva da parola persiana che significa giardino, luogo bello e fertile in cui si sta bene, si è insieme. E’ il compimento della nostra vita.
INFERNO: non è il castigo di Dio perché Dio è amore: è la tragica possibilità legata alla propria libertà di accogliere o no Dio; è rifiutare l’amore e non darlo.
PURGATORIO: crescita nell’amicizia con il Signore; arriviamo a Lui “ sporchi” ma ci purifichiamo con la Sua accoglienza e amore.
Ne consegue che dobbiamo coltivare la relazione con i nostri cari che sono già con il Signore, (COMUNIONE CON I SANTI) coltivare nel cuore la consapevolezza che c’è una comunione che ci avvicina a loro, noi con la preghiera e loro prendendosi cura di noi.
SE GIA’ SPERIMENTIAMO IN MINIMA PARTE QUI L’ESPERIENZA DI CRISTO, NELL’ALDILA’ DEVE ESSERE TUTTA UN ‘ALTRA COSA, MA INCREDIBILMENTE SPLENDIDA

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Dalla consolazione alla speranza Riduci

La relazione d’aiuto nel lutto: dal dramma alla consolazione e alla speranza.
(dottor Luigi Colusso)
Vangelo secondo Matteo (5,3…)
Vangelo secondo Marco (2,1-12)
Come si può vivere in una relazione di aiuto il dramma in cui si sprofonda, quando si perde un proprio caro o ha una grave malattia?
Come si può cercare la consolazione quando lo stesso Dio consolatore è sentito invece assente o severo, che ci punisce?
Come si può arrivare alla speranza di un futuro con gli strumenti che ci offre la vita, strumenti che ci arrivano quindi da Dio?
E’ nella natura stessa della nostra vita perdere strada facendo persone a noi care; se riusciamo a “lasciarle andare pensandole in pace” queste esperienze ci permetteranno di crescere, di prepararci e imparare a “fare amicizia con la morte” perché, come dall’amico non ti aspetti un tradimento specialmente quando lo abbracci, così senti che quando terminerai la tua vita terrena non sarai tradito da Dio che ama te e le tue persone care.; subentra un abbandono fiducioso: la morte ci chiederà di essere così capaci di fidarci della vita da saperla perdere per ritrovarla.
L’elaborazione della perdita passa quindi prima per l’esperienza della relazione interpersonale con il proprio caro che si lascia, ma poi sulla proiezione di un proprio futuro differente.
L’elaborazione della personale sofferenza, se verrà condivisa con altre persone che avevano rapporti con la persona cara, diventerà meno pesante; ecco che i riti di accompagnamento di cui si serve la Comunità consoleranno, faranno capire a chi soffre che non è solo.
Anche la narrazione del lutto sarà vitale, perché il dialogo che si instaurerà ha il compito di creare un’empatia non giudicante e sincera, che aiuterà la persona a trovare un senso di quello che è accaduto e creare una relazione verso il futuro.
L’ascolto, le cure e l’accoglienza della famiglia o di una Comunità costituiscono una risorsa fondamentale per aiutare a ritrovare nuovi slanci, forti motivazioni e obiettivi concreti, cioè per avere di nuovo speranza.
Alcune volte l’ambito familiare e la Comunità di appartenenza non riescono in questo compito difficile ( perché viviamo in una società multiculturale e dove c’è il tentativo di esorcizzare la morte e la sofferenza, ne consegue che la creatività e i sentimenti, che da esse sgorgano potenti, suscitano timore e sgomento).
Ma se la persona in sofferenza non vuole andare alla deriva relazionale ecco che può ricevere “in dono” una famiglia e una comunità temporanea”: I Gruppi di AUTO-MUTUO-AIUTO.
Sono “veicoli” che trasformano le risorse della persona che soffre da potenziali a reali, sperimentate nella serenità e nella sicurezza possibile, offrono” gli strumenti che la persona ha dentro di sé” per compiere il passaggio dal dolore e dal vissuto di perdita totale e finale, alla speranza di futuro. Fino a spingerlo alla ricerca del senso della vita. Strumenti che ci offre la vita stessa, strumenti che ci arrivano quindi da Dio.
Ed ecco che, se si fa nostra di nuovo la speranza e la certezza che Dio non ci abbandonerà mai, che noi con i nostri cari che ci hanno preceduto vivremo in eterno in pace , essendo esseri immortali , sentiremo la necessità di passare questo dono ricevuto ad altri che soffrono
Perché condividendolo lo facciano proprio e, smesso di piangere crescano nella fiducia e nell’affido a Dio.

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