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Iniziative pro missioni Riduci
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Capovolgere lo sguardo Riduci

1. Premessa
> Quante volte abbiamo ascoltato, meditato, pregato su questa pagina evangelica?
C'è un tratto che mi pare particolarmente suggestivo e decisivo, che la rende non solo un invito a “imitare” la carità del samaritano ma, anzitutto, a “contemplare” in quel samaritano la carità di Gesù nei nostri confronti, così che da essa ne veniamo trasformati:
“Gesù è il Samaritano che si è commosso per la nostra vita”.
Dobbiamo confessare che si tratta di un “passaggio” che, in genere, non facciamo oppure facciamo troppo sbrigativamente, spostando subito la nostra attenzione sulla carità che ci vede “protagonisti”, dimenticando che c'è, anzitutto, una carità che “ha avuto compassione di noi”:
“La Carità di Gesù Redentore è per noi esperienza sempre viva”.

2. Il contesto
a. Il “contesto” in cui Luca colloca la parabola è dato dall'intero capitolo 10.
> L'evangelista lo introduce con l'ampia narrazione della “missione dei 72 discepoli” (vv. 1-24), caratterizzata dalla raccomandazione, da parte di Gesù, non tanto di cose “da dire” o “da fare”, quanto di uno “stile evangelico” da custodire: di semplicità, di mitezza, di attenzione verso i piccoli.
> A questo episodio segue il dialogo di Gesù con il dottore della legge (vv. 25-29), avviato da una domanda: “Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”.
> Segue il racconto della parabola (vv. 30-37), che si conclude proprio sulla “soglia” di una casa, quella di Betania (vv. 38-42).
> Il “messaggio” che attraversa l'intero capitolo è molto semplice e unitario: è dentro uno “stile di vita” evangelico, di chi si prende “cura” dei propri fratelli, che si trova “il segreto” della “vita eterna”, cioè della “via della santità”.

3. Il messaggio
a. Per avviare questa contemplazione, potremmo personalizzare e fare nostra la stessa domanda, che risuona nel capitolo 25 di Matteo, del “Giudizio finale”: Quando, Signore, ti abbiamo visto essere per noi come il samaritano, che ha avuto compassione per la nostra vita?
Lasciamo, dunque, che sia la stessa pagina evangelica a guidarci verso una risposta.
b. A suscitare il racconto della parabola è l'interrogativo posto dal dottore della Legge: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”.
Gesù risponde indicando la “via maestra” dei dieci Comandamenti, che si riassumono tutti in una sola parola: “amerai!”. Il “segreto” della vita, il “segreto” della santità sta tutto qui: “amerai!”.
> Inaspettatamente la parabola diventa così la riproposizione di questo segreto, “amerai!”, con l'elenco di “dieci azioni”, che vedono come protagonista il samaritano.
È il “Decalogo” che Gesù indica a chi ha deciso di fare suo questo “segreto”!
> L'aspetto più suggestivo e provocante di questo “Decalogo” sta proprio nel fatto che esso non risuona come una serie di “norme” da osservare, ma come una “narrazione”, un “racconto”, teso a toccare i livelli più profondi del cuore.
> È la “narrazione di libertà” che si raccontano: quella del levita, del sacerdote, del samaritano.
In ciascuna di esse non stentiamo a ritrovare il racconto anche della “nostra” libertà, cioè delle “nostre” scelte di ogni giorno, che raccontano il “nostro” Decalogo!
In particolare, in quella del samaritano, riconosciamo il racconto della libertà di Dio, i suoi gesti di “cura” per noi che, ogni giorno, ci raccontano il “suo” Decalogo!
c. A introdurre il “racconto” di queste libertà troviamo un'affermazione, che mette in luce alcuni “presupposti” importanti per comprendere il “Decalogo di Dio”: “Invece un Samaritano, che era in viaggio...”.
> Provocante è, anzitutto, il fatto che Gesù, per “narrare” la libertà di Dio e il suo Decalogo, sceglie come protagonista “un Samaritano”. Una persona che i Giudei, e tanto più i Farisei, mai avrebbero considerato in grado di poter dire o insegnare qualcosa su Dio e sulla fede!
> Importante, poi, sottolineare quell'”invece”.
Esprime una “decisione”, dice una libertà (quella del Samaritano) che si pone in discontinuità, in alternativa rispetto a quella del levita e del sacerdote. Come a dire che è sempre possibile fare diversamente!
Si tratta, dunque, di una libertà che “sceglie”, si gioca, in modo del tutto inatteso.
Così è anche la libertà di Dio (di Gesù), nei confronti dell'uomo!
> Come pure quel “... era in viaggio”.
Allusione bellissima a quella “grande parabola” esistenziale che è il “viaggio della vita” (cfr. Martin Buber, “Il cammino dell'uomo”); con le sue speranze e i suoi fallimenti, le sue gioie e le sue ferite.
Ma anche al “grande viaggio” di Dio sui sentieri della storia umana, che trova nell'incarnazione del Figlio la sua massima espressione.
d. Più che con il pensiero, l'invito è a “scorrere” queste “dieci azioni” con il cuore!
In esse siamo invitati a “scorgere” la rivelazione della Carità del Redentore.

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Il buon samaritano Riduci

Primo: “... passandogli accanto”

- Tra i primi “tratti” caratteristici del Dio della Bibbia troviamo quello del suo “passare”.
Così per Mosè, per Elia e gli altri profeti (cfr. Es. 34,6; Ez 16,6; 1 Re 19,11; etc.).
Così per Gesù (cfr. Mc 1,16; Gv 9,1; etc.).
- Il “passare” di questo Dio mette in luce il Suo Mistero: mon è mai un Dio “trattenibile”, “racchiudibile”, dentro schemi pre-confezionati. È sempre un Dio “al di là”, che “va oltre”!
- Nello stesso tempo, il Suo è un “passare” mai “a distanza”, ma “accanto”; che “intercetta” la storia degli uomini, imprimendo “identità” nuove, dischiudendo “orizzonti inattesi”.
Secondo: “... vide”
- Spesso il verbo “passare” è accompagnato dal verbo “vedere”: che è molto più di un “guardare”, magari sbrigativo e distratto: è un prendere in considerazione, un prestare attenzione, far percepire all'altro che “si prova interesse per lui”.
- C'è uno “sguardo” di Dio su di noi che ha la forza di farci sentire “riconosciuti”, “unici”! (cfr. Es 3,16; Dt 26,7; Sir 15,18; Mt 9,9; 9,32).
Terzo: “... ne ebbe compassione”
- Il Dio della Bibbia non è un Dio “impassibile”! Il suo “passare accanto”, “vedere”, è talmente “vero”, “reale”, da provocare il Suo coinvolgimento “viscerale”, simile a quello di un padre o di una madre per un figlio in difficoltà.
- Nella carne di Gesù, nelle ferite della sua “passione”, troviamo la testimonianza più sconvolgente della “compassione” di Dio per l'umanità (cfr. Dt 32,36; Sal 86,15; Os 11,8; Mt 14,14; Lc 7,13; Eb 5,2; etc.).
Quarto: “Gli si fece vicino”
- La verità dei “sentimenti” si misura nella concretezza di “gesti” che esprimono l'affetto, confermano la stima, rilanciamo un cammino, dicono la disponibilità a compromettersi, a perdere qualcosa (cfr. Dt 4,7; Is 55,6; Sal 34,19; 46,2; Mt 17,7; Lc 24,15; Gv 21,13).
Quinto: “... gli fasciò le ferite”
- Dice la “qualità” di una vicinanza, che chiede delicatezza, discrezione, rispetto, per delle ferite che, a volte, sono molto più profonde e dolorose di quanto appaiano (cfr. Sal 147,3; Ez 34,16).
Sesto: “... versandovi olio e vino”
- Ancora, dice la “qualità” di una vicinanza, che sa “dosare”, con saggezza e umiltà, ciò che può lenire una ferita, consolare un dolore, e ciò che può (necessariamente) far male, perché una ferita si purifichi e si risani (cfr. Ez 16,9; Mc 6,13).
Settimo: “... lo caricò sulla sua cavalcatura”
- Testimonia come il coinvolgimento dell'amore “vero” si fa progressivo, totale, senza misura...
- Il cammino del viaggio della vita si trova ad essere rallentato, talvolta stravolto...
- C'è un “passo nuovo” da prendere: quello più lento, di chi fa più fatica, è in difficoltà... (cfr. Lc 15,4-7; Gv 19,17; Mc 15,21).
Ottavo: “... lo portò in un albergo”
- Siamo di fronte a un passaggio che ancora ci sorprende; e che nasce dalla scoperta del bisogno più profondo del cuore umano: quello di una casa, di una dimora, che restituisca dignità, dica una appartenenza.
- È questa azione del “dare casa” che consente al “povero” di sentirsi considerato, sempre e comunque, un “uomo” e mai solo un “problema” da risolvere e “accantonare” (cfr. Lc 2,7; 10,38; 19,6).
Nono: “... si prese cura di lui”
- Più che ad una azione, qui si allude a un “atteggiamento” complessivo interiore, che spiega e fa sintesi di tutte le “azioni” precedenti.
- Dice una presa in carico “totale” dell'altro, non semplicemente di un suo “bisogno” ma della sua “persona”, nella sua globalità, della sua ricerca di senso e di pienezza di vita (cfr. Sal 40,18; 68,20; Ez 34, 11-16; Sap 6,7; Mt 4,23; 8,7; 1Pt 5,7).
Decimo: “... il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: “abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.
- Il “Decalogo di Dio” termina con una “azione” estremamente provocante: quella di chi, da una parte non tollera “deleghe” e accetta di pagare fino in fondo “il prezzo della carità”; ma, nello stesso tempo, suscita una “responsabilità”, “coinvolge”.
- Ci troviamo qui a contemplare il tratto sorprendente della “Carità che contagia”!

Conclusione
In conclusione dell'incontro, sr. Franca ha ricordato come, dopo aver meditato questa parabola, spesso viene spontaneo domandarsi: “Io sono un buon samaritano?”, mettendosi nei panni di questo personaggio.
La proposta è stata, all'opposto, di metterci nei panni di quell'uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, spogliato e percosso dai briganti, bisognoso di aiuto. Anche noi, nel corso della nostra vita, nei momenti difficili, provati dal dolore, dalle delusioni, dai dubbi, abbiamo fatto esperienza di Gesù, Buon Samaritano, che ci è venuto vicino, ha ascoltato la nostra sofferenza, e ci ha dimostrato concretamente il suo aiuto con il suo infinito amore misericordioso.
E qui la riflessione e le risposte hanno lasciato spazio a testimonianze raccontate e conservate nel silenzio del nostro cuore.

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Riduci
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Abitare la vita dalla parte dei poveri Riduci

Domenica 13 marzo abbiamo partecipato all'incontro missionario presso le suore francescane alle Grazie.
Il tema proposto “ABITARE LA VITA DALLA PARTE DEI POVERI” è stato introdotto con la lettura della parabola del BUON SAMARITANO e condotto da sr. Franca, che vive come assistente sociale presso il carcere femminile della Giudecca a Venezia.
Abbiamo riflettuto sul nostro cammino personale in questo anno speciale, l'Anno Santo della Misericordia. In questo tempo siamo invitati alla sapienza del cuore che non separa mai l'amore di Dio dall'amore verso gli altri, particolarmente verso i poveri, gli ultimi, “carne di Cristo”.
Il cristiano coerente vive l'incontro con l'Altro con l'attenzione del cuore. Il programma del cristiano è lo stesso programma del Buon Samaritano e di Gesù, cioè “un cuore che vede”.

“Capovolgere lo sguardo”
Questo Vangelo non è solamente nella prospettiva della carità, del servizio, dell'accoglienza dei bisognosi.
È di fatto una grande pagina di Vangelo sui luoghi, su modi di presenza del Signore nella nostra vita e nella storia. Ci svela dove e come incontrare il Signore. È una pagina di Vangelo esigente e per alcuni aspetti sconcertante... Gesù ci dice qualcosa di difficile da accettare, da capire e da vivere. Afferma infatti che la debolezza in quanto tale, il bisogno, la povertà in tutti i sensi, sono luoghi di presenza del Signore. Lì LO INCONTRIAMO. E la potenza, la forza, l'aiuto, che in questi luoghi si devono manifestare, non sono anzitutto quelli del Signore, sono piuttosto i nostri. È come se Gesù dicesse: quando ero nella debolezza del bisogno, ho sperimentato la forza del tuo aiuto.
Qui tutto si capovolge: non è la nostra debolezza a divenire il luogo in cui facciamo esperienza della potenza del Signore; è la sua debolezza, incontrata nei suoi fratelli più piccoli, a divenire luogo in cui Egli può fare o non fare esperienza del nostro aiuto.
È molto più facile per noi immaginare che la presenza del Signore sia in coloro che si piegano sulle ferite dei loro fratelli, come il buon samaritano di Luca 10. Qui invece, la presenza del Signore è in coloro che attendono che siamo noi a piegarci sulle loro ferite. E il Signore lo incontriamo lì, non nel gesto di carità che possiamo compiere, ma nel bisogno di chi attende un gesto della nostra vita.
La debolezza, la fragilità, diventano luoghi di Dio. Questo è il modo in cui Dio ci ama: abbassandosi fino al punto di lasciarsi amare e servire da noi.

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